Via Boccaccio, 1

Italia, Trieste


Luogo esistente
Scheda completata

Stanislaus li aveva raggiunti a Trieste da pochi mesi, quando Nora Barnacle e James Joyce decisero di trasferirsi da via San Nicolò 30 al numero 1 di via Boccaccio su proposta dei coniugi Francini Bruni. Alessandro Francini Bruni era un collega di James alla Berlitz School e le due famiglie avevano già convissuto in modo amichevole a Pola: James ritenne ottima l’idea dell’amico fiorentino di trasferirsi tutti in un nuovo appartamento, dividendo le spese e gli spazi e potendo arredare a proprio gusto, e traslocò il 24 febbraio 1906.

La via, aperta all’inizio del secolo, distava pochi passi dalla Stazione ferroviaria principale. L’edificio che occupava il civico 1 era un pregevole palazzo in stile Liberty edificato fra il 1903 e il 1904 su progetto dell’ingegnere M. Sonz. Alto sette piani e sviluppato sia su via Boccaccio che su Scala Belvedere, una scalinata lungo il quale correva un ampio lato dell'edificio, il palazzo era impreziosito da dettagli, fra i quali un monumentale portone sormontato da una testa femminile, colonnine e geometrie in stile Secession, bassorilievi con decori floreali, conchiglie e teste leonine.

Le due famiglie, composte entrambe da genitori e un figlio (James, Nora e Giorgio da una parte, Alessandro, Clotilde e Daniele dall'altra), a cui era aggiunto il mite Stanislaus, vivevano al secondo piano del palazzo in armonia. Mentre Nora migliorava il suo Italiano chiacchierando con la signora Francini Bruni, James imparava modi di dire toscani con il marito, che nel frattempo si annotava espressioni e situazioni che avrebbe riportato nella sua conferenza Joyce intimo spogliato in piazza, pubblicata come opuscolo nel 1922. Non mancavano momenti ludici, nei quali, per esempio, James trasportava in giro per l'appartamento la minuta Clotilde accoccolata nel passeggino, ma, nonostante la grande confidenza, Nora e James continuavano a mangiare fuori casa e vivere in modo dispendioso: i debiti aumentavano senza soluzione.
Questa mattina - cosa strana perché non mi càpita mai - ero senza il becco di un quattrino. Sono andato dal mio Diretor e ghe go dito come che se; gli ho chiesto un anticipo sullo stipendio. La chiave della cassaforte non la jera inruginida; ma el Diretor mi ha rifiutato l’anticipo dicendomi che sono un pozzo. Gli ho risposto che ci si affoghi e me ne sono venuto. (Alessandro Francini Bruni, “Joyce intimo spogliato in piazza”).

James riteneva troppo oneroso l’eventuale arrivo di un secondo figlio e sfogava i suoi desideri carnali nei postriboli triestini, dilapidando ulteriormente lo scarso stipendio. Non aveva risolto nemmeno il vizio del bere, per cui non erano rare le scene in cui il più coriaceo (di aspetto e di carattere) Stanislaus andava a recuperarlo in qualche osteria e la questione finiva a botte, sebbene il Francini Bruni invitasse il fratello minore a lasciar perdere, dato che James non avrebbe cambiato questo suo vizio.

Lo scrittore viveva un momento di sconforto a causa di diversi intoppi nella pubblicazione delle sue opere letterarie: Chamber Music non trovava un editore, Gente di Dublino era continuamente messa in discussione sia dal tipografo che dall’editore, Grant Richards, i quali seguitavano a segnalare situazioni e vocaboli ritenuti immorali e sconvenienti, ritardando la pubblicazione del libro. A causa di rimaneggiamenti, interruzioni e frustrazioni degli altri scritti, anche la stesura di Stephen Hero si fermò al XXV capitolo, senza che Joyce riuscisse a procedere con il ritmo che aveva contraddistinto la redazione dell’opera.

La sensazione di essere bloccato in una posizione senza via di fuga lo indusse a provare odio crescente per la città di Trieste; fu così che, quando Artifoni gli spiegò che non sarebbe riuscito a pagare lo stipendio a entrambi i fratelli Joyce durante i mesi estivi a causa dei danni provocati dal vicedirettore Giuseppe Bertelli, fuggito con la cassa della Berlitz, James iniziò a consultare gli annunci economici della Tribuna di Roma.
Era il 31 luglio 1906 quando, lasciati dietro le spalle la casa di via Boccaccio e Stanislaus, al quale lasciò diversi debiti da estinguere, fra i quali l’affitto, ma non il mobilio, restituito in fretta e furia ai negozianti dai quali era stato comprato, James Joyce arrivò a Roma con Nora e il piccolo Giorgio.

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